work-addiction, sindrome maniacale da lavoro, ossesione da lavoro, workaholism….
Il termine workaholism fu coniato per la prima volta nel 1971 da un medico psicologo americano di nome Wayne Edward Oates (1917-1999). Egli stesso si accorse della sua dipendenza dal lavoro, proprio dopo aver spinto il figlio a prenotare un appuntamento nel suo studio per riuscire a trovare il tempo di parlargli.
Oates ha coniato il termine workaholism pensando proprio al termine Alcoholism (alcolismo), sostenendo che la dipendenza da lavoro ha diversi elementi comuni alla dipendenza dall’alcol. Gli iniziali studi di Oates pubblicati nel suo libro autobiografico del 1971 “Confessions of a Workaholic: The Facts about Work Addiction” si sono estesi in tutto il mondo, anche se in Italia la sindrome non è alla maggior parte della popolazione del tutto ancora nota.
Che si chiami work-addiction, sindrome maniacale da lavoro, ossesione da lavoro o workaholism, il disturbo è quindi definito come dipendenza dal lavoro. Quella continua e necessaria pulsione ad impegnare la maggior parte del proprio tempo lavorando, trascurando la vita intima e personale, quindi il proprio benessere psicofisico, la famiglia, gli amici, il sesso ecc.
La dipendenza da lavoro è costituita da due componenti principali:
- Comportamentale. Quindi la compulsione a lavorare eccessivamente
- Psicologica. Essere ossessionati da pensieri che riguardano il lavoro non riuscendosene a distaccare, sentendosi appagati solo quando si lavora.
Dopo uno studio effettuato nel 2001 Bryan E. Robinson, Jane J. Carroll, Claudia Flowers (2001) hanno affermato che la compulsione al lavoro è un fenomeno progressivo, potenzialmente fatale, caratterizzato da esigenze autoimposte, superattività compulsiva, incapacità di regolare le proprie abitudini di lavoro, abuso del lavoro a danno delle relazioni intime e delle attività quotidiane più importanti.
Il profilo del “workaholist” sembra essere caratterizzato da difficoltà a rilassarsi durante il tempo libero che comunque è poco appetibile in quanto crea quasi un senso di colpa visto che lo allontana dal lavoro. Il dipendente si isola distaccandosi dalla famiglia, che suscita tensioni mentali, non coltiva la relazione con il partner e i figli portando il lavoro anche a casa. Non ha relazioni amicali significative fatta esclusione di quelle finalizzate alla produttività lavorativa. Spesso pensa di essere superiore agli altri in quanto lavora di più. Soffre spesso di ansia e cambiamenti di umore.
La cosa interessante di questo disturbo è il fatto che a differenza di quanto si possa pensare il dipendente dal lavoro non è un poi un buon lavoratore e non è poi cosi produttivo, in quanto il suo stato psichico non è al massimo delle sue potenzialità anzi a lungo andare rischia di esaurire le risorse sia fisiche che mentali e si stressa finendo in Burn-out. Inoltre il “workaholist” ha difficoltà a delegare il lavoro creando evidenti problemi tra i colleghi in ufficio e nei workgroup, diffondendo stress.
Così come accade in tutti i tipi di dipendenza ci sono principalmente tre stadi che portano alla dipendenza conclamata:
- nascosta – vi è meno contatto sociale ed umore sempre più flesso in senso depressivo, più irritabilità e nervosismo, mal di testa e dolori allo stomaco;
- manifesta – si passa facilmente dal nervosismo all’ aggressività, pressione alta, disturbi cardiaci e ulcera;
- cronica – il lavoro satura la vita privata, con tutte le conseguenze del caso.
Secondo Arnold Bakker dell’università di Rotterdam i sintomi principali della dipendenza da lavoro sono:
- Dolore fisico
- Difficoltà nella vita relazionale
- Solitudine
- Scarso rendimento professionale
- Esaurimento
- Disturbi del sonno
Come liberarsi dalla dipendenza da lavoro?
Il problema principale che ci ostacola dal riuscire ad accorgersi di essere ossessionati dal lavoro in maniera compulsiva è il fatto che nella società odierna essere produttivi è un obbligo sociale, pertanto spesso è facile non riuscire a comprendere subito quale è la linea di confine tra patologia e normalità. Nella maggior parte dei casi i primi ad accorgersi dell’esistenza di questo problema sono i famigliari, i quali si sentono sempre più esclusi, e vedono il proprio caro isolarsi. La maggior parte degli impegni vengono spesso disdetti a causa del lavoro quindi i famigliari iniziano a lamentarsi e magari sono proprio loro ad effettuare le prime richieste di aiuto.
Quando ci si accorge di essere dipendenti dal lavoro è utile cercare conferme autosomministrandosi un
test di valutazione dipendenza da lavoro:
Da collaborazioni tra la facoltà di psicologia dell’università di Bergen (UiB), la Bergen Clinics Foundation e la Nottingham Trent University, un team di ricercatori coordinati dal dott. Cecilie Schou Andreassen ha sviluppato uno strumento per misurare la dipendenza dal lavoro, workaholism chiamato Bergen Work Addiction Scale (BWAS). Il test si basa su sette criteri diagnostici, che sono presenti anche in altri tipi di dipendenza, vedi alcolismo, dipendenza da gioco d’azzardo (GAP), net addictions, dipendenze da facebook ecc. Lo strumento è molto utile in quanto è autosomministrabile e discrimina bene la dipendenza da lavoro. La scala, che è stata costruita testando dipendenti norvegesi provenienti da 25 diversi settori, gli indici di consistenza interna del BWAS sono superiori a 0,80 quindi riesce a distinguere in modo affidabile tra maniaci del lavoro e non.
WART – Work Addiction Risk Test. Traduzione e riadattamento di Zinzi Ettore da: Bryan E. Robinson “Work Addiction – Hidden Legacies of Adult Children”, Ph.D., Health Communications,Inc, Dearfield Beach, Florida,1989 è un utile strumento in grado di discliminare in tre range quali: assenza di dipendenza da lavoro; possibile rischio con tendenza alla dipendenza da lavoro (non allarmante) e dipendenza da lavoro.In questo stadio potrebbe essere utile chiedere aiuto ad uno psicoterapeuta.
- Oppure prova la Scala di 20 item in lingua inglese dei workaholics anonymus
Una volta che anche i test ce lo confermano e siamo sicuri di avere questa difficoltà è molto consigliato distaccarsi dagli oggetti tecnologici multimediali come smartphone, tablet, pc ecc. visto che questi sono ormai efficaci strumenti di lavoro e data la loro essenza inducono l’utente “all’iper-utilizzo”. Monitorare la propria attività lavorativa controllandosi e imponendosi delle regole come ad esempio mai lavorare durante i pasti, le festività, i momenti di famiglia ecc. Purtroppo è ormai riscontrato che non sempre da soli si riesce a uscire da questa dipendenza, in questi casi la via regia per la guarigione da questo problema è la capacità di prendere consapevolezza del problema, rivolgendosi subito ad un professionista psicoterapeuta che attraverso un intervento di ricostruzione psicologica aiuti il cliente a riappropriarsi della propria vita, riuscendo a trovare attraverso l’analisi dei conflitti interiori più sane forme di gratificazione professionale invece che la semplice soddisfazione di una pulsione.
Film sul tema Workaholism, work-addiction, dipendenza da lavoro
Workaholic,
1996,
regia di Sharon von Wietersheim.
È il workaholism di una coppia non sposata e senza figli, dove l’agiatezza economica di entrambi riesce in qualche modo a mascherare la distortura della loro relazione.
Tratta comunque un workaholism di bassa gravità.
No reservation (Sapori e dissapori),
2007,
regia di Scott Hicks. Kate Armstrong interpretata da Catherine Zeta-Jones è una chef newyorkese apparentemente normale, conduce invece una vita da workaholic.
Bibliografia su Workaholism, work-addiction, dipendenza da lavoro
• Andreassen, C. S., Griffiths, M. D., Hetland, J. & Pallesen, S. (2012). Development of a work addiction scale. Scandinavian Journal of Psychology. DOI: 10.1111/j.1467-9450.2012.00947.x
• Astakhova, M. and Hogue, M. (2013). A Heavy Work Investment typology: A biopsychosocial framework. Journal of Managerial Psychology , 29(1). [Early cite article]
• Bakken, B. and Torp, S. (2012). Work engagement and health among industrial workers. Scandinavian Journal of Organizational Psychology, 4(1), 4–20.
• Baruch, Y. (2011). The positive wellbeing aspects of workaholism in cross cul- tural perspective: The chocoholism metaphor. Career Development Interna- tional, 16(6), 572–591.
• BRYAN E. ROBINSON, JANE J. CARROLL. (2011) ASSESSING THE OFFSPRING OF WORKAHOLIC PARENTS: THE CHILDREN OF WORKAHOLICS SCREENING TEST. Perceptual and Motor Skills 88:3c, 1127-1134. . Pubblicazione Online: 1-Jun-1999. Citation | PDF (334 KB) | PDF Plus (372 KB)
• Bryan E. Robinson, Lisa Kelley. (1999) School Age Workaholic Children: Type A Behaviors, Self-esteem, Anxiety and Locus of Control∗. Early Child Development and Care 158, 43-50. Pubblicazione Online: 1-Genn-1999.Cross Ref Read More: http://www.amsciepub.com/doi/abs/10.2466/pms.1999.88.1.199
• CLAUDIA FLOWERS, BRYAN E. ROBINSON, JANE J. CARROLL Marital Estrangement, Positive Affect, and Locus of Control Among Spouses of Workaholics and Spouses of Nonworkaholics: A National Study . The American Journal of Family Therapy Volume 29, Issue 5, 2001
• WAYNE E. OATES “Confessions of a Workaholic: The Facts about Work Addiction ” . Wolfe, New York, World Publishing 1972
2 commenti
nel test ho raggiunto il punteggio di 97, 60 ore lavorative settimanali, devo preoccuparmi?
Autore
Immagino che 97,60 sia il risultato del test:
WART – Work Addiction Risk Test.
Pertanto ATTENZIONE il punteggio 97,60 che ha calcolato corrisponde al risultato del test e non alle ore di lavoro!!!
Gli autori del test (Bryan E. Robinson “Work Addiction-Hidden Legacies of Adult Children”, Ph.D., Health Communications,Inc, Dearfield Beach, Florida,1989) con questo risultato indicano:
70-100: dipendenza da lavoro. A questo livello, è utile chiedere aiuto ad uno psicoterapeuta.
Il preoccuparsi o meno e quindi il rivolgersi ad uno Psicoterapeuta dipende da come si sente e quali sono i suoi bisogni. Date le poche informazioni da lei apprese e il fatto che abbia compilato il questionario lascia solo “immaginare” che si è posto il problema e probabilmete avrà rilevato qualche difficoltà nella sua vita….rimango in ascolto