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Hermann Hesse “SIDDARTHA” recensione di Simona De Pace

Siddartha di Hermann Hesse recensione di Simona De Pace

“La maggior parte degli uomini sono come una foglia secca, che si libra nell’aria e scende ondeggiando al suolo. Ma altri pochi sono, come stelle fisse, che vanno per un loro corso preciso, e non c’è vento che li tocchi, hanno in se stessi la loro legge e il loro cammino.” 

Siddartha è un libro pubblicato nel 1922 dalla casa editrice Adelphi, scritto dall’autore tedesco Hermann Hesse.

L’opera narra della vita di Siddhartha, assetato di conoscenza, stanco ormai della quotidianità tra sacrifici e riti, decide con l amico Govinda di andare tra i monaci per cercare la sua via, restando ben tre anni, dove apprende l’arte della meditazione e del digiuno. Un giorno arriva l’incontro con il Buddha, Govinda entra a far parte da subito dei suoi discepoli, mentre Siddhartha decide di essere libero e liberarsi anche da quel senso di appartenenza dalle cose e inizia così a vivere le sue esperienze . Siddhartha capisce che la vita e il tempo sono ciclici e che non esistono un io e un tu ma un unitá che è in tutto, in ogni pietra e in ogni fiume.

“Troviamo conforti, troviamo da stordirci, acquistiamo abilità con le quali cerchiamo d’illuderci. Ma l’essenziale, la strada delle strade non la troviamo”

Il romanzo è un connubio tra misticismo e spiritualità, possiamo considerarlo un romanzo meditativo filosofico dove vengono narrate le vicende di Siddhartha e il suo amico Govinda, alla ricerca del proprio io.

Una vera è propria parabola della vita che ci aiuta attraverso la narrazione a comprendere diverse sfaccettature dell’esistenza. La ricerca interiore, il senso dell’essere, trascendentale e illuminante; il componimento di Hesse è sicuramente coinvolgente e in qualche modo può essere un piccolo gradino di formazione e crescita per chi sa cogliere in un romanzo la profondità delle parole. Un testo sulla filosofia orientale e il buddismo che ha tanto da insegnarci.

Hermann Hesse, nella realizzazione di questo scritto ha ricercato i valori dei culti orientali quali l’induismo e il Buddismo come quando parla dell’ATMAN il luogo più profondo dell’anima, e il Nirvana lo stato di beatitudine in cui l’anima cessa di reincarnarsi. La ricerca del sé è l’essenza del tutto, abbiamo la certezza che passeremo il resto della vita con noi stessi per questo è importante amarsi, lasciandosi trasportare dalle correnti del cambiamento.

“La saggezza non è comunicabile. La scienza si può comunicare, ma la saggezza no. Si può trovarla, viverla, si possono fare miracoli con essa, ma spiegarla e insegnarla non si può.” 

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Richard Bach “IL GABBIANO JONATHAN LIVINGSTON” recensione di Simona De Pace

“Il gabbiano Jonathan Livingston” di Richard Bach

“Qualunque cosa tu faccia non pensare mai a cosa diranno gli altri, segui solo te stesso, perché solo tu nel tuo piccolo sai cosa è bene e cosa è male, ognuno ha un proprio punto di vista, non dimenticarlo mai, impara a distinguerti, a uscire dalla massa, non permettere mai a nessuno di catalogarti come clone di qualcun’altro, sei speciale perché sei unico, non dimenticarlo mai”

Il Gabbiano Jonathan Livingston è un romanzo breve scritto da Richard Bach, pubblicato nel 1970 da Rizzoli editore.

Protagonista del romanzo Jonathan, un gabbiano che si distingue da sempre dal resto dello stormo, ha un carattere forte, testardo, determinato nelle sue scelte pur andando contro tutti. Il suo motto è quello di osare, e lo fa sfidando i gabbiani nel volo, nelle sue tecniche differenti, sognando di volare come nessun gabbiano ha mai ha fatto.

Dalle prime pagine del libro tra le righe, si legge l’amore per le passioni, che possono essere o diventare un lavoro, o che semplicemente ci inebriano di vitalità, nutrendoci l’animo; anche quando non ci sentiamo capiti nel seguire una passione, non dobbiamo mai demordere, dobbiamo credere sempre in noi stessi.

Il gabbiano Jonathan Livingston cerca approvazioni dalla famiglia, dagli amici si sforza di assomigliare agli altri, provando a dedicarsi solo alla ricerca del cibo, ma la sua vera natura viene fuori, non è felice continua a desiderare la perfezione del volo.
La dedizione per il volo lo porta alla solitudine, il Consiglio degli Anziani, infatti, lo caccia allontanandolo dallo stormo.

Jonathan parte, lontano dalla famiglia, prende le distanze dal suo stormo, sente la diversità con gli altri, la percepisce ne soffre ma questo non lo ferma. Nel suo lungo viaggio incontrerà dei gabbiani che lo aiuteranno a concentrarsi sui pensieri, sulla mente, perfezionerà le sue abilità vivrà diverse avventure fino a dimostrare che caparbietà e coraggio riusciranno a farlo spiccare in quel volo acrobatico che lui ha sempre desiderato.

“Non dar retta ai tuoi occhi, e non credere a quello che vedi. Gli occhi vedono solo ciò che è limitato. Guarda col tuo intelletto, e scopri quello che conosci già, allora imparerai come si vola”

Spesso ci limitiamo per il pensiero, per paura, e soprattutto ciò che più intimorisce è il cambiamento.
Temiamo i cambiamenti perché ci costringono ad uscire dalla nostra “zona confort”, lasciare il certo per l’incerto, il conosciuto per lo sconosciuto, andare incontro al corso degli eventi senza sapere cosa accadrà.
L’irresolutezza e l’ignoto ci terrorizzano perché è impossibile prevedere il futuro, non abbiamo il pieno controllo del tutto. Per questa ragione, il primo passo per superare un cambiamento può essere quello di gestire e accettare le nostre emozioni, specialmente la paura, dando un senso agli eventi.

Jonathan Livingston impara velocemente a cavarsela da sé, ha un grande spirito di adattamento; ma sente sempre il suo corpo come un limite per raggiungere il suo scopo, ed è per questo che chiede al gabbiano più anziano, Chang, gabbiano che incontra nel suo cammino, di insegnargli a volare alla velocità del pensiero, per oltrepassare la soglia del “hic et nunc”. Chang lascerà un testamento a Jonathan dove gli spiegherà come raggiungere la perfezione, e come si raggiunge essa? Lui dice che la perfezione non sta nel volo in sé, ma nel cogliere il segreto dell’amore. Jonathan soddisfatto del suo viaggio, e di non aver lasciato che i pensieri e i punti di vista altrui gli offuscassero la mente decide che è giunto il momento di far ritorno a casa dove potrà finalmente condividere ciò che ha imparato e trasmetterlo agli altri gabbiani. Tornato a casa, tutti iniziano ad avere stima e rispetto nei confronti di Jonathan restandone incantati. Questo romanzo incoraggia a fare delle proprie differenze un punto di forza, rispettando il proprio sentire, inseguendo i nostri sogni a costo di sembrare troppo fuori dal comune, ma almeno siamo noi stessi, infondo la diversità è una ricchezza.

Ed egli imparò a volare, e non si rammaricava per il prezzo che aveva dovuto pagare. Scoprì che erano la noia, la paura e la rabbia a rendere così breve la vita di un gabbiano

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Charles Dickens “Il CANTO DI NATALE” recensione di Simona De Pace

Il CANTO DI NATALE di Charles Dickens

“non vi è niente al mondo di così irresistibilmente contagioso come una persona che ride ed il buon umore”

A Christmas Carol è un romanzo di Charles Dickens scritto nel 1843, una delle favole più belle del Natale.

Charles Dickens nasce il 7 febbraio 1812 presso Portsmouth, secondo di otto figli; è stato tra i più popolari romanzieri inglesi della storia della letteratura di ogni tempo.

Il protagonista del romanzo si chiama Ebenezer Scrooge ricorda molto il Grinch, entrambi detestano il Natale e qualsiasi cosa abbia a che fare con tale festività. Scrooge è cinico ed egoista non sente in sé quel calore tipico delle feste di dicembre, e prova un’enorme  fastidio all’idea che per quel giorno non si debba lavorare. La notte della Vigilia, tre spiriti gli fanno visita: quello del Natale passato, presente e futuro che lo accompagnano in un incredibile viaggio alla scoperta di ricordi sbiaditi dal tempo e alla riscoperta di sé stesso. Un racconto, quello di Dickens che sicuramente riaccende lo spirito natalizio per chi lo ha perso e per chi invece di spirito natalizio ne ha da vendere, con questa opera lo ravviva dando quel tocco di magia in più. Lo scrittore usa una prosa semplice e scorrevole ma non banale, le pagine si susseguono regalando al lettore immagini di grande impatto emotivo, che lo coinvolgono appassionandolo alle avventure di Ebenezer.

“Questo bambino è l’Ignoranza. Questa bambina è la Miseria. Guardati da tutti e due, da tutta la loro discendenza ma soprattutto guardati da questo bambino, perché sulla sua fronte io vedo scritto: “Dannazione ”. 

Il periodo di Natale è un turbine di emozioni, può essere il periodo più bello e magico dell’anno o quello più triste e melanconico. Il Natale è nostalgia delle persone che non ci sono più o di quelle persone a noi care che sono dovute andare via dalla propria terra per lavoro. A dicembre, si accendono le luci, le strade brillano con ghirlande festose e addobbi di ogni genere. Ma il vero senso del Natale è la riscoperta dei valori e dello stare insieme, per farsi coccolare dalla famiglia e dalle persone che più amiamo. Il ricordo che ognuno di noi associa al Natale parte da lontano, dall’infanzia, odori, canzoni, sapori, un bagaglio di emozioni che trasciniamo sempre con noi.

Questo racconto, ci fa capire che non è mai troppo tardi per ricominciare, per cambiare, e per rimettere tutte le cose al loro posto. Ogni errore può essere riparato o perlomeno non commesso più, il Canto di Natale è un inno di speranza che annulla le differenze sociali e riscopre l’amore per il prossimo.

L’autore ha regalato alla letteratura un classico intramontabile capace di scaturire emozioni ogni qual volta lo si legga ed ogni volta con una percezione diversa.

“Onorerò il Natale nel mio cuore e cercherò di tenerlo con me tutto l’anno”

@Simona De Pace

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Erich Fromm “L’ARTE DI AMARE ” recensione di Simona De Pace

L’ARTE DI AMARE di Erich Fromm

“Colui che non sa niente, non ama niente. Colui che non fa niente, non capisce niente. Colui che non capisce niente è sgradevole, ma colui che capisce, ama, vede, osserva… La maggior conoscenza è congiunta indissolubilmente all’amore. Chiunque creda che tutti i frutti maturino contemporaneamente come le fragole non sa nulla dell’uva.”  Paracelso.

The Art of Loving, conosciuto come l’Arte di Amare, è l’opera più eloquente scritta dal filosofo tedesco Erich Fromm pubblicata nel 1956. Contribuì ad allargare la dottrina psicanalitica partendo dall’indagine sulla psiche individuale a quella sull’inconscio sociale, criticando fortemente le teorie freudiane riguardanti le pulsioni biologiche come chiave per la comprensione del comportamento umano. Nella sua opera sono frequenti i richiami alla mitologia greca e perfino all’Antico Testamento.

Fromm, attraverso le pagine di questo libro vuole dare una ampia panoramica del concetto di amore, abbastanza complesso e variegato, trattando le differenti tipologie: l’amore per se stessi, l’amore tra i genitori e il bambino, l’amore fraterno, l’amore materno, l’amore erotico, l’amore per Dio.

L’amore genuino è una espressione di produttività ed implica cure, rispetto, responsabilità e comprensione, deve essere alimentato da quello che è l’amore per se stessi, una base solida per amare gli altri.

Fromm, tratta anche il tema della solitudine che spinge alla necessità di unione con l’altro per puro egoismo. La solitudine provoca ansia, come viene messo in evidenza, è l’origine di ogni ansia.

“La gente non pensa che l’amore non conti. Anzi, ne ha bisogno; corre a vedere serie interminabili di film d’amore, felice o infelice, ascolta canzoni d’amore; eppure nessuno crede che ci sia qualcosa da imparare in materia d’amore”.

Ognuno di noi ha bisogno di nutrirsi di amore, ma essa è un’arte, come tale ha bisogno di essere coltivata, richiede le capacità dell’artista e le sue energie per creare e costruire. La teoria dell’amore analizza l’unione simbiotica e il suo modello biologico nel legame tra il feto e la madre, sono due esseri in un unico involucro e vivono in simbiosi. La forma passiva dell’unione simbiotica è quella della sottomissione, clinicamente conosciuto come masochismo; la forma attiva è il sadismo. La differenza è che il masochista è completamente sottomesso all’altro, comandato, offeso e umiliato il sadico domina, intraprende, offende e umilia. In contrasto con l’unione simbiotica, lo psicanalista, mette in risalto l’amore maturo che preserva la propria integrità e la propria individualità.

“L’atto sessuale senza amore non riempie mai il baratro che divide due creature umane, se non in modo assolutamente momentaneo”

Concludo citando una teoria che ben si accorda con le note che Fromm attribuisce al concetto di ‘AMARE’.

Un illustre rabbino racconta dell’incontro di un uomo con un giovane ragazzo; il ragazzo siede su di un tavolo e si gode il suo piatto di pesce, così l’uomo lo osserva e gli chiede: -Perché stai mangiando quel pesce? -Perché amo il pesce.  -Oh, ami il pesce? ed è per questo che lo hai tirato fuori dall’acqua, lo hai ammazzato e lo hai bollito? Non dirmi che ami quel pesce tu ami te stesso. Ma tu non ami il pesce, tu credi di amare quel pesce in realtà tu ami te stesso e soddisfi il tuo bisogno mangiandolo, ma l’amore è ben diverso. Se tu amassi davvero quel pesce non lo mangeresti.

Quindi molto di quello che crediamo amore in realtà è amore per il pesce. Amore dei propri bisogni e non per l’altra persona quindi l’altro diventa uno strumento per la propria personale gratificazione. L’amore non si basa su ciò che sto per ricevere ma su quello che sono in grado di dare. La gente crede che si doni a chi si ama, la vera risposta è che si amano coloro a cui si dona “il punto è se io do qualcosa a te io sto dando me stesso a te, e dato che amare se stessi è un dato di fatto ognuno ama se stesso e ora che quella parte di me fa parte di te, di una parte di me in te che amo, quindi l’amore vero è quello che dona non quello che riceve”

Come scrive l’autore del libro, “Solo l’amore disinteressato è un sentimento maturo e completo”

L’Arte di amare di Erich Fromm è una lettura riflessiva che arricchisce l’anima, l’amore è bisognevole di cura, pazienza, disciplina, concentrazione e soprattutto “Amore” significa imparare a stare bene con se stessi.

“Chiunque salvi una singola vita, è come se avesse salvato il mondo intero; chiunque distrugga una singola vita, è come se avesse distrutto il mondo intero”

@Simona De Pace

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BIBLIOTERAPIA. Recensione libri.

BIBLIOTERAPIA
recensione libri

E’ noto che la leggere offra spazi importanti di crescita per la vita di ogni individuo. La lettura può essere utilizzata come strumento di crescita culturale grazie all’acquisizione di nuove conoscenze, crescita personale, crescita collettiva, autoaiuto. Leggere è molto utile nella promozione della consapevolezza anche in momenti di disagio psicologico e disagio sociale. La lettura è cultura! Sviluppo! Aiuta gli uomini e quindi le società a migliorarsi attraverso l’aquisizione di conoscenze.
E’ chiaro che in ambito psicoterapeutico  la prescrizione della lettura di libri appunto BBLIOTERAPIA, viene utilizzata come strumento terapeutico psicoeducativo e di crescita personale atta allo sviluppo di una maggiore consapevolezza di se e di ciò che è al di fuori di noi.
Qui di seguito viene offerto un elenco di recensioni di Libri spesso prescritti in Psicoterapia:

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recensione di Simona De Pace

 

recensione di Simona De Pace

Recensione di Simona De Pace

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Michaël Uras “LE PAROLE DEGLI ALTRI” recensione di Simona De Pace

LE PAROLE DEGLI ALTRI di Michaël Uras recensione di Simona De Pace

“Prescrivere un libro come cura per la Felicità”

“NON SI LEGGE MAI UN LIBRO. CI SI LEGGE ATTRAVERSO I LIBRI, SIA PER SCOPRIRSI, SIA PER CONTROLLARSI”  Romain Rolland, l’Eclair de Spinoza.

Se ci pensiamo, ogni esperienza o storia vissuta può essere scoperta in un libro. Quante volte ci siamo immedesimati nelle pagine e nelle storie dei protagonisti? quante volte ci sentiamo parte di un testo di una canzone? o guardando un film abbiamo avuto l’impressione che il regista conoscesse in qualche modo la nostra vita?

Le parole degli altri è un romanzo di Michaël Uras, uscito nel 2016, tratta una tematica attuale, ossia la biblioterapia che fa parte delle tecniche, da sempre utilizzate della psicologia, come anche la musicoterapia, l’arteterapia …

Il libro è di facile lettura, scorre attraverso un linguaggio semplice e intuitivo. Racconta la storia di uno psicoterapeuta che cura i propri pazienti con la biblioterapia, ossia una promessa di guarigione attraverso la lettura di romanzi specifici a seconda del tipo di problematica. Questo libro raccoglie molteplici spunti di lettura, consigliandoci libri che bisogna leggere almeno una volta nella vita. La scelta è ampia: da Balzac a Salinger, da Goncarov a Cocteau.

Interessante è comprendere le dinamiche utilizzate dall’autore nella costruzione dei rapporti tra personaggi.

 “I RICORDI SONO OVUNQUE. CI COSTRUISCONO NESSUNO GLI SFUGGE”

I testi spaziano da ‘Il giovane Holden’ di Salinger, a “La lentezza’ di Milan Kundera”, “L’Odissea di Omero”, “Aspettando Godot” di Samuel Beckett; le scelte di Alexandre, il protagonista del romanzo, si destreggia tra saggi, romanzi storici, classici, ad ogni paziente corrisponde un libro; aspettando Godot per chi ha troppo da fare, Il giovane Holden per chi ha paura di ribellarsi, l’Odissea per ritrovare il proprio posto nel mondo.

Le parole degli altri è un libro che parla di libri. Lo psicoterapeuta racconta gli incontri con i suoi pazienti attraversando il mondo della Biblioterapia, ritiene la lettura dei libri parte integrante delle terapie psicologiche e psichiatriche ritenendo questa pratica, dotata di un grande potere curativo.

L’autore si esprime in modo morbido e tagliente, caratterizzato da quella verve che appartiene agli scrittori francesi coinvolgendo il lettore, attraverso dei dialoghi ben costruiti; le emozioni vengono fuori grazie alle parole. Il collante di tutto il romanzo è sicuramente l’amore per la letteratura, che Alex esprime costantemente regalando al lettore un ampio respiro dell’immenso mondo dei libri.

 “Io con le parole ero una spugna. Ogni romanzo, ogni poesia mi entrava nelle cellule e si mescolava al mio sangue”

@Simona De Pace

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Marcela Serrano “L’ALBERGO DELLE DONNE TRISTI” recensione di Simona De Pace

L’ALBERGO DELLE DONNE TRISTI,
di Marcela Serrano
“storie di anime smarrite”

recensione di Simona De Pace.

‘CI SONO DONNE CHE DORMONO TUTTE RAGGOMITOLATE PERCHÉ’ IL DOLORE E’ COSI’ FORTE CHE NON RIESCONO PIÙ’ A SDRAIARSI’.

Non fatevi ingannare dal titolo pur vero è che si tratta di storie tristi di quella tristezza che non va più via ma è anche vero che tutte le storie in fondo hanno il loro lieto fine. Dovremmo da tutte le esperienze prendere qualcosa e lasciarne una altra, potremmo prendere il bello e lasciare il brutto ad esempio, prendere la gioia e lasciare la rabbia come dire nutrirsi del lato positivo. Ed è quello che in questo romanzo della scrittrice Marcela Serrano, emerge e nulla può essere vano se ci porta sempre da qualche altra parte anche le persone o le situazioni sbagliate a volte non sono che ponti per poter passare ad una consapevolezza maggiore dell’importanza di ‘Essere’ e dell’amare se stessi. Vi è mai capitato un periodo nel quale pensate che l’unica soluzione sia quella di fuggire in un posto lontano da tutti e da tutto?  Di cambiare aria? dimenticandovi del resto del mondo? ci si sente quasi bambini autistici quando si arriva a quel punto dove non puoi andare ne avanti ne indietro, un vegetale bloccato in un presente statico di angoscia che trascina il tuo essere in un oblio di emozioni conturbanti e confusionali, ecco!!! Appunto!!! Immaginate di sentirvi così e avere la possibilità di trasferirvi in un rifugio immerso nel verde e sullo sfondo del promontorio sul quale giace, eccovi il mare! Le donne del romanzo hanno la possibilità di evadere dal quotidiano trasferendosi per tre mesi in un albergo che si trova su un’isoletta dell’arcipelago di Chloè, nel Sud del Cile. L’albergo nasce per accogliere donne da tutte le parti del mondo, ognuna di queste ha una sua personalità e una storia da raccontare. È gestito da Elena, una psichiatra che ha lavorato per la Resistenza e nei consultori popolari dove ha potuto toccare la realtà delle donne più fragili. Lo scritto è ricco di spunti di riflessione, le pagine scorrono velocemente ci si perde tra i personaggi che si destreggiano tra la carta e l’inchiostro, immedesimandosi facilmente negli intrecci dei loro racconti.

‘DOVE ASPETTEREMO QUANDO L’AMORE NON ARRIVA. COME GUARIREMO LE FERITE.
Antonio Gil, I luoghi andati

  Dolori non cicatrizzati inducono le ospiti a confidare i propri sogni irrealizzati, gli affetti ormai estranei, gli amori distruttivi. Sono donne autonome, alcune anche famose, rimaste in sospeso tra l’amore romantico e lo spaesamento degli uomini che le hanno amate e poi abbandonate.  Si trattano diverse tematiche e problematiche emotive che vengono approfondite dalla Dottoressa Elena, psicoterapeuta dell’albergo che oltre a fare terapia singolarmente ogni giorno alle ospiti (lei ama non chiamarle pazienti), organizza terapie e attività di gruppo. Si affrontano le paure, le ansie, le dipendenze affettive, la paura dell’abbandono, la solitudine eccetera.

‘LA SUA PAURA, IN PAROLE POVERE, E’ SEMPRE STATA QUELLA DI NON APPARTENERE A NESSUN LUOGO IN PARTICOLARE’

Le fanciulle dell’albergo sono tendenti alla disperazione, accomunate dalla paura di essere ferite ancora, paranoiche, anche se tra le donne c’è sempre la più strafottente quella che detiene il ruolo di attrice per sdrammatizzare le situazioni conosciuta anche come il “Pagliaccio Triste”. Possiamo definirle “le sopravvissute”, si sopravvive al dolore, ai rimpianti, ai conflitti, alle delusioni, all’amarezza.

Queste donne, vogliono liberarsi dagli scheletri del passato, riacquistando la fiducia in sé stesse, e pian piano con il giusto tempo riscoprono il senso delle emozioni. E così l’Albergo che le accoglie tristi, le restituisce al mondo solo quando hanno ritrovato il sorriso e la voglia di vivere.

Voglio concludere con una citazione dell’autrice perché alla fine tutto gira intorno all’amore.

“L’amore non fa distinzioni e travolge tutti allo stesso modo perché, grazie a Dio, è un flagello molto democratico.”

@Simona De Pace

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