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I benefici della vela, “VELATERAPIA”

Neologismo presente nella Treccani (2008):Velaterapia s. f. Terapia che si propone di inserire il paziente in un piccolo gruppo di velisti, con un obiettivo operativo, per ricondurlo all’equilibrio psicofisico.Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è velaterapia-Zinzi-Ettore-psicologo-taranto.jpg

Prima di approfondire l’articolo è importante tenere in considerazione che la Velaterapia in barca a vela, come dal nome si potrebbe dedurre, non è una forma di “terapia vera è propria” quindi sostitutiva alla psicoterapia. La vela può essere utilizzata come complemento ad altre forme di terapia tradizionale.

La scienza spiega bene che andare in barca a vela e praticare qualsiasi altra attività in cui ci si immerge nella natura, ha un grosso potere riequilibrante sia sulla mente che sul corpo; ancora più intense sono le esperienze immersive in cui bisogna anche seguire ritmi e tempi della natura. La vela è un buon “setting” per un “lavoro interiore” che uno psicoterapeuta può rendere ancor più terapeutico (Velaterapia). I vari ed ufficiali programmi riabilitativi e terapeutici che si svolgono a bordo sulle barche di tutto il mondo dimostrano l’efficacia terapeutica di questa attività.

L’uomo ormai si trova costretto a vivere in un ambiente innaturale, artificiale e disturbato da rumori, luci, ritmi, comportamenti che poco hanno a che fare con l’ecosistema e il bioritmo naturale.

Ritornando a vivere in modo più naturale e organizzato seguendone i suoi tempi, ci sono tanti i benefici. 

I BENEFICI DELLA VELA, “VELATERAPIA”

  • Vivere nel “qui ed ora!”
  • Sviluppare le capacità di adattamento.
  • Attenzione selettiva focale e problem solving
  • Sviluppare la Conoscenza e Comprensione dell’ambiente
  • Identificazione del Se
  • Sviluppo del Se corporeo
  • Locus of control
  • Abitudini sane e cura del se
  • Autostima
  • Intelligenza emotiva
  • Relazioni interpersonali
  • Qualità del sonno ed equilibrio ormonale

 

Approfondendo nello specifico:

  • VIVERE NEL “QUI ED ORA!”

La navigazione a vela richiede concentrazione e attenzione, il che può aiutare a liberare la mente dalle preoccupazioni quotidiane e a concentrarsi sul presente (qui ed ora).

  • SVILUPPARE LE CAPACITA’ DI ADATTAMENTO.

Sia a livello corporeo che psichico si è più stimolati ed impegnati nell’affrontare velocemente nuove situazioni trovando il “nostro equilibrio”.  Una bella metafora circa l’adattamento del corpo la troviamo nel lavoro fatto dal nostro sistema vestibolare che ci aiuta a mantenere l’equilibrio e a non cadere; monitorando la posizione spaziale del corpo e i movimenti della barca, il sistema vestibolare si adatta immediatamente al dondolio delle onde facendoci stare in piedi. Stessa cosa accade a livello psichico bisogna riadattarsi alle situazioni, bisogna trovare un ruolo, un nostro spazio, anche il semplice non essere di intralcio ai marinai nelle varie manovre è un lavoro di “coping”. Anche a livello relazionale e intrapsichico bisogna adattarsi e integrarsi nell’equipaggio, e quindi bisogna imparare a seguire il leder quindi il capitano e ancor più in alto la natura. La gestione dei conflitti e la frustrazione del dover convivere in luoghi piccoli è un bel lavoro offerto alla nostra psiche.

  • ATTENZIONE SELETTIVA, FOCALE E PROBLEM SOLVING.

Tra i mille stimoli presenti su una barca bisogna selezionare quelli utili e quindi sviluppare le capacità di “attenzione selettiva”. E’ sempre il sistema vestibolare la nostra metafora, nella coclea i canali semicircolari devono adattarsi durante il dondolio del mare a selezionare l’informazione utile per il mantenimento dell’equilibrio. A bordo ci sono molti stimoli per la nostra attenzione, bisogna spiegare le vele, timonare, fare le manovre, gestire la cambusa, l’equipaggio e tanto altro… ogni singolo compito stimola l’uso “dell’attenzione focale” richiedendoci la concentrazione sul compito. Una buona attenzione focale e selettiva aumenta la nostra efficacia nel “problem solving”. A bordo ci possono essere tanti imprevisti e problemi da risolvere velocemente selezionando nel minor tempo possibile le migliori decisioni da prendere e quindi agire.

  • SVILUPPARE LA CONOSCENZA E COMPRENSIONE DELL’AMBIENTE

La navigazione a vela richiede una conoscenza approfondita dei venti, delle correnti e delle condizioni meteorologiche, il che può aiutare a sviluppare la conoscenza e la comprensione della natura e dell’ambiente circostante.

  • IDENTIFICAZIONE DEL SE

In barca bisogna darsi da fare e quindi esporsi, essendo in un gruppo e in uno spazio ristretto ogni nostra azione ha degli effetti sull’ “ambiente”. Si è stimolati e a volte costretti in modo diretto a considerare i nostri pregi e difetti, e dover riflettere su ciò che si è sbagliato e fatto bene. Bisogna identificarsi e scegliere e definire il nostro spazio e ruolo.    

  • SVILUPPO DEL SE CORPOREO

Nello spazio limitato bisogna meglio calibrare i nostri movimenti, bisogna usare la nostra corporeità senza potercene tirare indietro. Si pensi al semplice uso del winch, quindi l’uso della sua manovella che serve a tendere le cime moltiplicandone la forza, ci aiuta a padroneggiare nell’uso del nostro corpo, della nostra forza e prestazione.

  • LOCUS OF CONTROL

A bordo veleggiando ci si trova responsabili delle nostre azioni e ciò che esse comportano, bisogna comprendere quali sono le nostre e le altrui responsabilità e quindi ciò che è nel nostro controllo o meno, questa consapevolezza vale sia a livello psichico, che prettamente fisico…

  • ABITUDINI SANE E CURA DEL SE

La vita in barca impone ritmi e ruoli che si ripetono. La semplice cura della barca come le pulizie, il tenere in ordine le cime, la cambusa, le vele, il sottocoperta ecc. è routine: la costanza che certi lavori richiedono diviene una abitudine, e sono proprio le abitudini a dare un senso di sicurezza e stabilità contrapponendosi alle incertezze e difficoltà di tutti i giorni. Per l’armatore la barca diviene una estensione del proprio se, qualcosa di intimo che lo definisce, pertanto il prendersi cura della barca diviene un modo per prendersi cura di se.

  • AUTOSTIMA

Riuscire nelle manovre come nel tendere una vela, come anche il gestire le relazioni, le frustrazioni o il padroneggiare situazioni di pericolo ci aiuta nello sviluppo della consapevolezza della nostra efficacia ed efficienza e quindi ci favorisce a meglio sviluppare e padroneggiare la nostra auto stima.

  • INTELLIGENZA EMOTIVA

  In barca bisogna capire, saper controllare e gestire le proprie ed altrui emozioni. Anche il semplice infinito dell’orizzonte può fare un certo effetto emotivo. Durante la navigazione entrano in gioco molte emozioni si spazia da quelle intime e personali a quelle interpersonali. Bisogna capirsi e capire gli altri, fare squadra e raggiungere gli obiettivi. La corretta gestione delle emozioni è fondamentale, la si utilizza per riuscire a orientare il proprio comportamento, la paura ad esempio, se ben gestita è molto utile per tenerci in allerta e non permetterci di compiere errori.         

  • RELAZIONI INTERPERSONALI

Come già evidenziato la convivenza in barca richiede competenze relazionali, per funzionare è obbligatorio che l’equipaggio comprenda e rispetti ruoli, regole, diritti e doveri. Le inclinazioni e attitudini relazionali individuali a bordo emergono velocemente visto che non ci si può sottrarre dall’essere partecipi e pronti all’azione per fronteggiare le incombenze della navigazione.

  • RITMO CIRCADIANO E OROLOGIO BIOLOGICO

Una delle più utili conseguenze della navigazione in barca riguarda la necessità di regolare i nostri ritmi e quindi l’orologio biologico interno con quello della natura. Seguire l’alternanza del giorno con la notte è fondamentale per la nostra salute, ed in barca la natura ci impone questi ritmi, a differenza di quanto ormai accade nella vita quotidiana moderna.

  • QUALITA’ DEL SONNO E RIEQUILIBRIO DELLE FUNZIONI ORMONALI

 Il nostro corpo dovendo sottostare alle leggi della natura ed ascoltandone i suoi cicli regola automaticamente il ciclo del sonno e anche le funzioni ormonali.

Concludo ribadendo che, qualunque sia la ragione per la quale ci si trova su una barca a veleggiare, i benefici sono innumerevoli; ancor più se ne avranno facendolo con consapevolezza e sotto la guida di uno psicoterapeuta che dia un a spinta maggiore alla crescita personale. Una guida che aiuti a trasformare i vissuti che se ne ricavano in nuovi e importanti apprendimenti sia emotivi che cognitivi, utili strumenti per il benessere psicofisico.

 

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La legge che ha salvato la dignità del paziente psichiatrico.

Legge del 13 maggio 1978, n.180 detta “Legge Basaglia”

Legge Basaglia ovvero la legge n.180/78 in tema di “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori”, presentata in Parlamento da Bruno Orsini, psichiatra e politico della Democrazia Cristiana ed approvata il 13 maggio 1978.
La legge viene da sempre collegata al nome dello psichiatra veneziano Franco Basaglia, principale esponente del movimento che ha lottato per l’umanizzazione del paziente psichiatrico che sino ad allora veniva definito “Alienato”, riuscendo a ottenere la chiusura dei manicomi.

La normativa precedente quindi la legge 36/1904 dell’epoca Giolittiana, come lo si può dedurre dal titolo: “Disposizioni sui Manicomi e sugli Alienati. Custodia e cura degli alienati” era evidentemente obsoleta e mancante di qualsiasi attenzione ai diritti civili del paziente tant’è che delegava al direttore del manicomio il massimo potere decisionale sui degenti.

In realtà, la legge 180/78 in sé durò solo pochi mesi, poiché i suoi articoli furono inclusi nella riforma sanitaria della legge n.833 (art. 33-35) dello stesso anno; la L. 180/78 ha modificato la visione di “malattia mentale” in quella di “salute mentale” e al paziente viene restituita la sua dignità di uomo.

Punti salienti della Legge 180/78

Nel giro di pochi mesi la Legge Basaglia venne inserita all’interno della legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale (legge 833 del dicembre 1978); i suoi punti chiave:

  • Dal contenimento per rischio di pericolosità si è passati alla cura, il trattamento sanitario in psichiatria viene basato sul diritto della persona alla cura e alla salute.
  • Rispetto dei diritti umani (ad esempio, diritto al lavoro, alla casa, alle relazioni affettive…)
  • Disposizione di chiusura degli ospedali psichiatrici (OP-manicomi) su tutto il territorio nazionale
  • Spostamento extra ospedaliero, della centralità funzionale del servizio: l’articolo 6 del testo normativo riporta infatti che “gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione relativi alle malattie mentali sono attuati di norma dai servizi e presìdi psichiatrici extra ospedalieri “. Quindi vi è l’Istituzione di centri di salute mentale (CSM) e i servizi territoriali divengono le strutture preposte al trattamento e alla cura delle malattie mentali. Servizi psichiatrici territoriali come fulcro dell’assistenza psichiatrica.
  • Istituzione dei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (Spdc) all’interno degli ospedali generali per il trattamento dei disturbi acuti
  • Favorire il Trattamento sanitario volontario in cui prevale la prevenzione, la cura e la riabilitazione
  • In caso di resistenza alle cure e mancanza di condizioni per il trattamento extra-ospedaliero si ricorre al Trattamento sanitario obbligatorio (TSO)
  • Viene ripensata la collaborazione tra Spdc , strutture di ricovero e servizi territoriali, per garantire il principio di continuità terapeutica.

La maggiore critica che è possibile fare a questa legge quadro è che non ha approfondito e definito linee guida per la creazione e gestione di servizi e presidi alternativi all’Ospedale Psichiatrico.

Nuove linee guida sulla salute mentale sono state approvate a livello nazionale nel marzo 2008, durante la Conferenza Stato-Regioni, con l’obiettivo di dare maggior impulso al sostegno domiciliare e ai dipartimenti di salute mentale.

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Il DISTURBO MENTALE nel DSM-5.

Definizione di DISTURBO MENTALE nel DSM-5.

Prima di definire qualsiasi disturbo psicopatologico è molto importante conoscere ed aver appreso appieno la definizione di DISTURBO MENTALE presente nel manuale diagnostico dei disturbi mentali (DSM-5) a cura dell’American American Psychiatric Association (APA). Al fine di non incorrere in errori di valutazione e sovradiagnosi è opportuno effettuare una valutazione approfondita del livello di disagio che il disturbo provoca.

Qui di seguito la definizione che si trova a pagina 22 del quinto manuale dei disturbi mentali (DSM-5):

“Un disturbo mentale è una sindrome caratterizzata da un’alterazione clinicamente significativa della sfera cognitiva, della regolazione delle emozioni o del comportamento di un individuo, che riflette una disfunzione nei processi psicologici, biologici o evolutivi che sottendono il funzionamento mentale.
I disturbi mentali sono solitamente associati a un livello significativo di disagio o disabilità in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti. Una reazione prevedibile o culturalmente approvata a un fattore stressante o a una perdita comuni, come la morte di una persona cara, non è un disturbo mentale.”

La definizione è molto esaustiva e definisce il disturbo una “Sindrome”. Lo stesso DSM-5 nel glossario a pagina 693 definisce Sindrome un “raggruppamento di segni e sintomi, basato sulla loro frequente concomitanza, che può suggerire una sottostante patogenesi, un decorso, una familiarità e un’indicazione di trattamento comuni”.

Si considerano quindi un insieme di sintomi che in linea con il modello categoriale del DSM-5 si cerca di riunire in categorie distinguibili tra di loro che aiutano a meglio inquadrare oltre alla diagnosi possibili prognosi, strategie di trattamento ed esiti.

Questi segni e sintomi sono valutati osservando le disfunzioni in chiave bio-psico-sociale.
Si diagnostica un disturbo o una disabilità quando sono presenti delle alterazioni significative nei principali ambiti della vita dell’individuo che sono:

  • La cognizione
  • L’emotività
  • Il comportamento
    Quindi è presente disagio o disabilità nelle relazioni sociali, al lavoro, in famiglia, a scuola…

Durante la valutazione è necessario considerare le influenze culturali di un determinato comportamento o “adattamento”, come per esempio nel lutto dove a seconda della cultura di appartenenza vi è uno stile comportamentale culturalmente definito.

Una attenta valutazione della compromissione del funzionamento o meglio della disabilità dell’individuo è fondamentale proprio perché permette di scremare tutte quelle condizioni in cui i le emozioni, i comportamenti e i pensieri pur discostandosi dai valori culturalmente condivisi non creano disagio significativo.
Esempio dell’utilità della valutazione del grado di disagio possono essere colti nella “disforia di genere” dove non tutte le persone che si identificano nel sesso non biologico hanno condotte di vita disfunzionali e disagio. Si pensi ad alcune parafilie come il sadismo o masochismo che per essere definiti “disturbo da masochismo sessuale” o “disturbo da sadismo sessuale” devono creare disagio significativo nelle varie aree di vita ed essere agite a discapito di persone non consenzienti.

 

Bibliografia:
American Psychiatric Association (2013a). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fifth Edition (DSM-5). Washington, D.C.: APA (trad. it.: DSM-5. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Quinta edizione. Milano: Raffaello Cortina, 2014).

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Disturbi Fittizi

DEFINIZIONE DISTURBI FITTIZI

Callegari C, Bortolaso P, Vender S.

Una produzione volontaria o la simulazione di dolore per assumere il ruolo di ammalato può rientrare nella categoria nosografica dei disturbi fittizi. Il soggetto ammalato di questo particolare disturbo ha una personalità patologica che lo porta a desiderare di ricevere continue cure mediche e, soprattutto, di essere ricoverato in ospedale. Solo ed esclusivamente a questo scopo egli racconta menzogne, si sottopone agli esami più fastidiosi, è desideroso di assumere farmaci, ricerca e affronta interventi chirurgici non sempre o non del tutto necessari, anche se ripetuti più volte.

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Richard Bach “IL GABBIANO JONATHAN LIVINGSTON” recensione di Simona De Pace

“Il gabbiano Jonathan Livingston” di Richard Bach

“Qualunque cosa tu faccia non pensare mai a cosa diranno gli altri, segui solo te stesso, perché solo tu nel tuo piccolo sai cosa è bene e cosa è male, ognuno ha un proprio punto di vista, non dimenticarlo mai, impara a distinguerti, a uscire dalla massa, non permettere mai a nessuno di catalogarti come clone di qualcun’altro, sei speciale perché sei unico, non dimenticarlo mai”

Il Gabbiano Jonathan Livingston è un romanzo breve scritto da Richard Bach, pubblicato nel 1970 da Rizzoli editore.

Protagonista del romanzo Jonathan, un gabbiano che si distingue da sempre dal resto dello stormo, ha un carattere forte, testardo, determinato nelle sue scelte pur andando contro tutti. Il suo motto è quello di osare, e lo fa sfidando i gabbiani nel volo, nelle sue tecniche differenti, sognando di volare come nessun gabbiano ha mai ha fatto.

Dalle prime pagine del libro tra le righe, si legge l’amore per le passioni, che possono essere o diventare un lavoro, o che semplicemente ci inebriano di vitalità, nutrendoci l’animo; anche quando non ci sentiamo capiti nel seguire una passione, non dobbiamo mai demordere, dobbiamo credere sempre in noi stessi.

Il gabbiano Jonathan Livingston cerca approvazioni dalla famiglia, dagli amici si sforza di assomigliare agli altri, provando a dedicarsi solo alla ricerca del cibo, ma la sua vera natura viene fuori, non è felice continua a desiderare la perfezione del volo.
La dedizione per il volo lo porta alla solitudine, il Consiglio degli Anziani, infatti, lo caccia allontanandolo dallo stormo.

Jonathan parte, lontano dalla famiglia, prende le distanze dal suo stormo, sente la diversità con gli altri, la percepisce ne soffre ma questo non lo ferma. Nel suo lungo viaggio incontrerà dei gabbiani che lo aiuteranno a concentrarsi sui pensieri, sulla mente, perfezionerà le sue abilità vivrà diverse avventure fino a dimostrare che caparbietà e coraggio riusciranno a farlo spiccare in quel volo acrobatico che lui ha sempre desiderato.

“Non dar retta ai tuoi occhi, e non credere a quello che vedi. Gli occhi vedono solo ciò che è limitato. Guarda col tuo intelletto, e scopri quello che conosci già, allora imparerai come si vola”

Spesso ci limitiamo per il pensiero, per paura, e soprattutto ciò che più intimorisce è il cambiamento.
Temiamo i cambiamenti perché ci costringono ad uscire dalla nostra “zona confort”, lasciare il certo per l’incerto, il conosciuto per lo sconosciuto, andare incontro al corso degli eventi senza sapere cosa accadrà.
L’irresolutezza e l’ignoto ci terrorizzano perché è impossibile prevedere il futuro, non abbiamo il pieno controllo del tutto. Per questa ragione, il primo passo per superare un cambiamento può essere quello di gestire e accettare le nostre emozioni, specialmente la paura, dando un senso agli eventi.

Jonathan Livingston impara velocemente a cavarsela da sé, ha un grande spirito di adattamento; ma sente sempre il suo corpo come un limite per raggiungere il suo scopo, ed è per questo che chiede al gabbiano più anziano, Chang, gabbiano che incontra nel suo cammino, di insegnargli a volare alla velocità del pensiero, per oltrepassare la soglia del “hic et nunc”. Chang lascerà un testamento a Jonathan dove gli spiegherà come raggiungere la perfezione, e come si raggiunge essa? Lui dice che la perfezione non sta nel volo in sé, ma nel cogliere il segreto dell’amore. Jonathan soddisfatto del suo viaggio, e di non aver lasciato che i pensieri e i punti di vista altrui gli offuscassero la mente decide che è giunto il momento di far ritorno a casa dove potrà finalmente condividere ciò che ha imparato e trasmetterlo agli altri gabbiani. Tornato a casa, tutti iniziano ad avere stima e rispetto nei confronti di Jonathan restandone incantati. Questo romanzo incoraggia a fare delle proprie differenze un punto di forza, rispettando il proprio sentire, inseguendo i nostri sogni a costo di sembrare troppo fuori dal comune, ma almeno siamo noi stessi, infondo la diversità è una ricchezza.

Ed egli imparò a volare, e non si rammaricava per il prezzo che aveva dovuto pagare. Scoprì che erano la noia, la paura e la rabbia a rendere così breve la vita di un gabbiano

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PESSIMISMO, la profezia che si auto avvera!!

PESSIMISMO, la profezia che si auto avvera!!
Per vivere meglio è possibile cambiare il pensiero negativo in positivo!!

L’enciclopedia della lingua Italiana TRECCANI così riporta:

Pessimismo s. m. [dal fr. pessimisme, der. del lat. pessĭmus «pessimo» (in contrapp. a optimisme «ottimismo»)]. – disposizione di spirito a considerare la realtà nei suoi aspetti peggiori.
Disfattismo (s.m.), catastrofismo (s.m.), scetticismo (s.m.), diffidenza (s.m.), sfiducia (s.m.), scoraggiamento (s.m.)

Il pessimismo come l’ottimismo è una delle strategie difensive agite dall’uomo per garantirsi la sopravvivenza. Precisando che come si parla di “ottimismo realista” così bisogna parlare di “pessimismo realista” quindi usato con moderazione e cognizione di causa. Il pessimismo portato all’eccesso culmina nella depressione quindi alla vera e propria e totale mancanza di speranza nel futuro, immobilità e isolamento, proprio come anche rilevato dai vari studi di Seligman sulla impotenza appresa.

Come evidenzia Edoardo Giusti (2016, pag.34), “i pensieri angosciosi possono mantenere il sistema nervoso in uno stato di attivazione persistente che provoca un eccesso di produzione di adrenalina, cortisolo ed altri ormoni analoghi fino alla comparsa di svariati sintomi.”

Il pensiero negativo ad alta intensità di pessimismo è caratterizzato da diversi ingredienti:

  1. Sensazione di Si tende a rimanere in una posizione di immobilità, passività, senza combattere con la giustificazione che tanto non c’è alcuna via di uscita.

  2. Bassa autostima e quindi poca fiducia nella propria capacità di risolvere le situazioni (problem solving), scoraggiamento, paura…

  3. Overload of negative information/accumulo di informazioni negativo. Si raccolgono tante prove negative che confermano le proprie paure, tanto da scoraggiarsi nell’agire e nel cercare di risolvere affrontando la realtà.

  4. Bassa motivazione. A causa del pessimismo non si è motivati ad agire e quindi si rimane immobili.

  5. Confronto con chi ha di più. Si paragona la propria vita a persone che stanno meglio, ottenendo il risultato di scoraggiarsi.

  6. Mancanza di speranza in questo modo ogni comportamento viene pensato come inutile e quindi si smette di cercare soluzioni alternative.

  7. Mancanza di fiducia in se stessi e negli altri.

  8. Paranoia. Ci si sente schiacciati dagli eventi negativi e quindi perseguitati.

 “È meglio essere ottimisti ed avere torto piuttosto che pessimisti ed avere ragione.”
Albert Einstein

Come già detto senza il pessimismo il genere umano non sarebbe sopravvissuto, se l’uomo non avesse previsto le catastrofi non si sarebbe preparato ad affrontarle. Senza quel pizzico di pessimismo non ci prepareremmo ai momenti di crisi.

Grazie al pessimismo, la paura e l’ansia ci preparano a situazioni di pericolo. Ci allertano e quindi si ha la possibilità di organizzare delle risposte veloci, rapide ed adattive.

È chiaro quindi che il livello di pessimismo deve essere realista, ben moderato, altrimenti indossando lenti molto scure tutto apparirà più buio, cupo, più grigio di quanto realmente è, ottenendo una visione del mondo poco realistica quindi distorta.

Seligman individuò nella consapevolezza, di potere o non potere controllare l’ambiente, la base della differenza tra pensiero pessimistico e ottimistico. Quella consapevolezza di esercitare un certo controllo sul proprio futuro e sulle proprie azioni. Il modo in cui ci si spiega gli avvenimenti. È ovvio che se si crede di non avere controllo sul proprio destino ci si adagia passivamente al flusso degli eventi della vita senza provare minimamente a darle una direzione, vivendo con molta insoddisfazione.

La differenza importante che c’è tra l’ottimista e il pessimista riguarda l’attribuzione delle cause dei propri insuccessi, o attribuzione esterna (mi hanno fatto sbagliare!) o interna (ho sbagliato!).

Ovviamente quando i pessimisti si attribuiscono le cause dei loro insuccessi avranno un abbassamento della loro autostima e quindi della fiducia in se stessi, non confidando tanto nelle loro possibilità e capacità.

Seligman ha confermato che è possibile utilizzare delle strategie per cambiare il proprio stile di pensiero da pessimista a ottimista. Esercitarsi a pensare positivo, ci aiuta nella soddisfazione dei nostri bisogni, a stare bene fisicamente e con delle alte difese immunitarie.

Istruzioni per i PESSIMISTI cronici per diventare più Ottimisti, i passi per cambiare il proprio pensiero da pessimista ad ottimista:

  1. Essere consapevoli di caricare negativamente la realtà, trasformandola in più catastrofica di quanto lo è.

  2. Distogliere l’attenzione dai pensieri pessimistici cercando di focalizzare l’attenzione su nuove soluzioni e spiegazioni più ottimistico realistiche.

  3. Focalizzarsi sulle proprie fortune, sulle cose belle della vita e sulle possibilità del futuro.

  4. Guardarsi allo specchio e sorridere ogni giorno.

  5. Visualizzare la nostra percentuale di pessimismo da 1 a 100. Es. Solitamente carico un 60% di negatività alla realtà vedendola sempre più catastrofica del reale, quindi procedendo con un ragionamento di tipo cognitivo alla mia visione; dovrò sempre effettuare un aggiustamento levando il 60% del pessimismo. Per esempio quindi, 100% che non ce la faccio cioè non ce la posso fare, diventa 40% che non ce la faccio cioè potrei anche farcela.

  6. Non catastrofizzare generalizzando ma circoscrivere l’insuccesso all’evento nefasto in termini sia temporali che causali.

  7. Imparare dai propri errori, essi intrinsecamente possono avere una valenza positiva se utilizzati come una risorsa, ossia come apprendimento che ci permette di capire cosa non ci conviene fare.

  8. Ricordare che la visione che l’uomo ha del mondo, dell’ambiente e della vita è una visione prettamente soggettiva, quindi costruita da noi stessi e dalle nostre esperienze. Partendo da questo assunto, è ovvio dedurre che, se la vita ci appare bella, dipende molto da noi e dal nostro modo di vedere le esperienze della vita.

Non bisogna dimenticare che i pensieri negativi diventano profezie che si autoavverano.
Sta quindi a noi decidere se voler essere ottimisti quindi attivi e pronti a combattere, oppure se si preferisce la chiusura nel pensiero pessimistico inattivo cadendo nella disperazione e privandoci “del rischio” di poter godere delle cose della vita??
Ricordiamo che il pessimismo abbassa la motivazione e le aspettative rendendoci immobili, e nel vuoto.

 

BIBLIOGRAFIA

  • Daniel Goleman. Intelligenza emotiva. Rizzoli, Milano 1996.
  • Edoardo Giusti Passione e saggezza: la serenità psichica tra ottimismo e realismo. Sovera Edizioni, 14 giu 2016.
  • Chiara Ruini, Marta Scrignaro, Marta Bassi, Andrea Fianco. Le partiche della psicologia positiva: Strumenti e prospettive. Strumenti per il lavoro psico-sociale ed educativo. Franco Angeli 2017
  • H. Maslow, Motivazione e personalità, Astrolabio 1973
  • Abraham Maslow, Verso una psicologia dell’essere, Astrolabio 1971
  • Carl Rogers, Un modo di essere, Martinelli 1983
  • Seligman, M.E.P. (1990). Imparare L’Ottimismo (Learning Optimism). New York: Knopf. (reissue edition, 1998, Free Press)
  • Seligman, M.E.P. (1996). Come crescere un bambino ottimista (The Optimistic Child: Proven Program to Safeguard Children from Depression & Build Lifelong Resilience). New York: Houghton Mifflin. (Paperback edition, 1996, Harper Paperbacks)
  • Seligman, M.E.P. (2002). La costruzione della Felicità (Authentic Happiness: Using the New Positive Psychology to Realize Your Potential for Lasting Fulfillment). New York: Free Press. (Paperback edition, 2004, Free Press)

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Teoria psicoanalitica di Sigmund Freud STADI DI SVILUPPO

 Teoria psicoanalitica di Sigmund Freud
STADI DI SVILUPPO

Energia nervosa, energia psichica, energia pulsionale, libido, tensione è questo il fulcro della teoria di Freud.
Per la psicoanalisi l’energia psichica deriva dall’energia biologica cioè fisica e quindi mente e corpo hanno una stretta connessine di scambi. Gli istinti creano eccitazione in qualche parte del corpo e questa energia creata stimola la mente creando un bisogno.

Freud individua principalmente due istinti di base: eros è istinto di distruzione

  • EROS (istinto di vita) riguarda le spinte pulsionali sessuali, l’autoconservazione, l’amore e le forze vitali. L’energia disponibile all’eros è la libido.
  • DISTRUZIONE (istinto di morte) riguarda aggressione, odio, perdita di connessioni, istinto di morte.

Per Freud i primi anni di vita sono importantissimi per la formazione della personalità e questo sviluppo comporta degli stadi psicosessuali che sono divisi in fasi:

  1. Fase Orale (0-18 mesi).
  2. Fase Anale (18 ed i 36 mesi).
  3. Fase Fallica (complesso di Edipo/Elettra) (3 e i 6 anni).
  4. Fase Genitale adulta (dalla pubertà in poi)

Gli stadi di sviluppo, rappresentano la successione dei conflitti funzionali a cui si va incontro crescendo e scoprendo l’ambiente. La personalità quindi dipende dal modo in cui si sviluppano le pulsioni in ciascuno stadio.

Il modello psicoanalitico della mente individua tre strutture che danno vita ai processi mentali:

Es, Io e Super-io. Intesi da Freud come “3 omuncoli”, uno appassionato e vizioso, uno razionale e uno morale. Il super-io si contrappone e condiziona sia l’Es che il Super-io. Io, es e super-io sono però privi di partizione in quanto si combinano al momento di produrre un comportamento o un pensiero.

  • ES: rappresenta la sede delle funzioni su base biologica. L’es è una parte inaccessibile della nostra personalità ed è la sede dei desideri innati quindi fonte principale dell’energia psichica che viene utilizzata per soddisfare gli istinti
  • IO: è quella struttura che trae origine dall’incapacità dell’es di produrre costantemente l’oggetto desiderato, quindi rappresenta il meccanismo di adattamento alla realtà. Le attività intellettuali dell’io sono la percezione, il pensiero logico, la soluzione di problemi e così via, man mano l’io, con lo sviluppo, acquista energia ed esperienza (pensiero secondario) diventando sempre più forte e differenziato e facendo anche da mediatore tra es e mondo esterno.
  • SUPER-IO: è composto da:

    -La Coscenza è fatta delle proibizioni dei genitori.
    -L’Io ideale è in riferimento ad uno standard di condotte verso cui il bambino tende i propri sforzi.

Qestre tre dimensioni ci guidano quindi nella nostra vita, in uno scambio di dimensioni consce e inconsce. Dall’armonia di quesi elementi dipende la nostra vita.

Bibliografia
  • Sigmund Freud, Tre saggi sulla teoria sessuale, (1905).
  • Sigmund Freud, Compendio di Psicoanalisi, (1938).
  • Edoardo Giusti,Claudia Montanari,Antonio Iannazzo Psicodiagnosi integrata. Sovera Edizioni, 2006

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Teoria degli STADI COGNITIVI di Jean Piaget

Teoria degli STADI COGNITIVI di Jean Piaget Jean Piaget

(Neuchâtel, 9 agosto 1896 – Ginevra, 16 settembre 1980)

Jean Piaget è stato uno psicologo, biologo, pedagogista e filosofo svizzero. Ha improntato la sua vita scientifica sullo studio sperimentale delle strutture e dei processi cognitivi legati alla costruzione della conoscenza nel corso dello sviluppo, ha dato inizio agli studi di epistemologia genetica nel campo della psicologia dello sviluppo.

Il pensiero di Piaget è fondato sulla biologia, nel definire lo sviluppo integra la tesi innatista e quella ambientalista (legata alle stimolazioni esterne).

La natura scientifico teorica del modello si sviluppa secondo tutti e quattro i tipi di costruzione della teoria:

  1. Modello teorico
  2. Teoria deduttiva
  3. Teoria funzionale
  4. Teoria induttiva

Il punto di forza principale di queste teorie è l’aver dato importanza fondamentale al ruolo della cognizione nello sviluppo, l’adattamento del bambino all’ambiente e al mondo che incontra giorno dopo giorno.

L’essenza dello sviluppo cognitivo è caratterizzata da cambiamenti di struttura, che vengono quindi assimilati.

L’intelligenza viene considerata come capacità di adattamento all’ambiente, alla realtà. Il risultato dell’integrazione tra assimilazione(conservazione) ed accomodamento(novità).

La percezione non sembra procedere in maniera qualitativamente simile allo sviluppo cognitivo ma piuttosto si evolve a livello quantitativo con informazioni nuove.

La memoria riflette la struttura cognitiva nel suo insieme infatti e ad essa dipende ed è un processo attivo di comprensione. Attraverso il cambiamento di strutture cognitive avviene anche una riorganizzazione della memoria.

Piaget sostiene che lo sviluppo si evolve attraversando una serie di stadi costituiti e scritti a livello genetico-biologico ma anche influenzati dalle stimolazioni ambientali. Negli ultimi anni della sua ricerca Piaget diede meno importanza agli stadi ipotizzando altresì dei periodi di transizione più lunghi tra di loro.

Nella sua teoria il passaggio attraverso gli stadi è favorito principalmente da quattro fattori:

  1. Maturazione fisica
  2. Esperienza con oggetti fisici
  3. Esperienza sociale
  4. Fattore d’equilibrio, «una proprietà intrinseca e costitutiva della vita organica e mentale».

I periodi di sviluppo sono totalità strutturate che emergono da uno stadio precedente.

La teoria “piagetiana” si sviluppa in quattro principali periodi che poi sono a loro volta suddivisi in sotto stadi quali:

  • Primo periodo (da 0 a 2 anni)
    PERIODO SENSO-MOTORIO

    • Stadio (da 0 a 1 mese) Evoluzione e modifica dei riflessi: Il bambino rafforza generalizza è differenzia comportamenti che hanno inizio sotto forma di semplici riflessi.
    • Stadio (da 1 mese a 4) Reazioni circolari primarie: i movimenti vengono ripetuti e provati in senso circolare producendo un certo piacere.
    • Stadio (da 4 mesi a 8) reazioni circolari secondarie: in questa fase i movimenti circolari sono rivolti verso il mondo esterno.
    • Stadio (da 8 mesi a 12) coordinazione degli schemi secondari: il bambino oltre a coordinare gli schemi secondari e rimuovere gli ostacoli, può ora usare gli oggetti come strumenti per ottenere un fine (sa quello che fa!)
    • Stadio (da 12 mesi a 18) reazioni circolari e terziarie: in questa fase vi è la scoperta di mezzi nuovi attraverso la sperimentazione ed esplorazione attiva.
    • Stadio (da 18 mesi a 24) invenzione di mezzi nuovi attraverso combinazioni mentali: il bambino riesce a trovare soluzioni nuove sul momento, egli manipola immagini mentali al fine di ottenere eventi conseguenti esterni.

Secondo periodo (da 2 a 7 anni)
PERIODO PRE-OPERATORIO
Il bambino ora può usare i simboli per rappresentare oggetti ed eventi astratti
Caratteristiche di questo periodo sono:

  • Egocentrismo: il bambino non riesce a differenziare il se dal mondo esempio linguaggio
  • Rigidità: di pensiero riesce a prestare attenzione ad una sola caratteristica di un oggetto trascurando le altre.
  • Ragionamento semi-logico i pensieri spesso sono collegati tra loro in maniera slegata piuttosto che secondo una relazione logica e lineare.
  • Terzo periodo (da 7 a 11 anni)
    PERIODO DELLE OPERAZIONI CONCRETE
    Il bambino grazie alla capacità di servirsi delle operazioni e dei concetti padroneggia azioni che già fanno parte della sua struttura mentale interiorizzata. Ora le rappresentazioni non sono più isolate ma acquistano una conservazione.

Il bambino è in grado di capire anche le relazioni per esempio se A>B e B>C allora riuscirà a capire che A > C. L’egocentrismo tende a diminuire.

  • Quarto periodo (da 11 a 15 anni)
    PERIODO DELLE OPERAZIONI FORMALI
    Le operazioni mentali non sono più limitate ad oggetti concreti possono ora essere applicate ad affermazioni puramente verbali o logiche, al possibile come al reale, al futuro come al passato… come altre qualità il ragionamento è diventato veramente logico astratto ed ipotetico

Bibliografia:

  • Jean Piaget La nascita dell’intelligenza nel fanciullo, Firenze, Giunti-Barbera universitaria, 1968.
  • Jean Piaget Logica e psicologia, Firenze, La Nuova Italia, 1969.
  • Jean Piaget Dal bambino all’adolescente. La costruzione del pensiero, Firenze, La Nuova Italia, 1969.
  • Edoardo Giusti,Claudia Montanari,Antonio Iannazzo Psicodiagnosi integrata. Sovera Edizioni, 2006

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